Discernimento sapienziale

 sac. Claudio Bucciarelli

 

Non è proprio il caso che questa mia testimonianza scritta -nel ricordare l’amico Emilio- si soffermi su molteplici particolari biografici, culturali e religiosi della sua mirabile vicenda umana e del suo incisivo impegno evangelico come sacerdote. Tutto ciò è già stato fatto in modo significativo ed esemplare da diversi amici e in particolare da don Silvano Nistri nel libro "Pietre vive – immagini di Chiesa" (ed. Fiorentina,1999) e nell’Omelia in occasione del trigesimo della morte (3 gennaio 2000).

Sento comunque un profondo bisogno di aggiungere anch’io una breve riflessione al riguardo, anche se conoscendo la saggia perspicacia di Emilio, non vorrei cadere nel rischio di "consumare" tale testimonianza nell’incontrollato arcipelago dell’odierna comunicazione diffusa. L’insegnamento di Emilio a questo proposito era assai eloquente, infatti secondo lui la scienza della voce -quella che viene dallo Spirito- è soprattutto la scienza del saper dire e del saper ascoltare i messaggi degli altri.

Ho conosciuto Emilio nell’agosto del 1956, quando ebbi la fortuna di incontrarlo per la prima volta e di passare con lui una vacanza in montagna. Da quel momento la nostra amicizia si sviluppò e si consolidò fortemente fino ai giorni della sua tragica scomparsa, umanamente incomprensibile. Tale amicizia, dai giorni appassionati del Concilio Vaticano II°, ai periodici o saltuari incontri romani e ai vari viaggi fatti in Medioriente con la sua illuminante guida, ha rappresentato per me un autentico "sacramento", nella condivisione di un vissuto umano evangelizzato dall’Eucarestia e dalla Riconciliazione.

Nel non facile tentativo di individuare un "nucleo fondante" che caratterizzi in modo emblematico la ricca personalità di Emilio, tanti sarebbero gli aspetti a cui ispirarci, ma, a mio parere, ve ne è uno che connota fondamentalmente la sua radicalità evangelica. Infatti, io penso che lui, appunto perché amava definirsi "discepolo" del Signore, è stato per tutti coloro che lo hanno conosciuto ed amato un vero Maestro di Sapienza biblica.

Per non essere frainteso, con questo appellativo non intendo tanto attribuire ad Emilio "accademiche" qualità esegetiche ed ermeneutiche della scienza biblica (anche se la sua era una aggiornata e solida preparazione in materia, correlata con il forte amore alla Patristica), quanto alludere soprattutto a quel tipo di Sapienza che con profondo connubio la Scrittura definisce l’intelligenza del cuore (mens cordis), qualità questa bene evidenziata dalle parole di uno dei suoi tanti amici: "…La sua non era monotona riproposizione del già sentito ma somigliava al continuo ruminare la Parola di Dio in relazione ai segni dei tempi". In sintesi, un sacerdote piuttosto lontano dalla teologia "professionale" e avverso ad ogni forma di fissismo teologico; molto vicino, invece, per personale e costante frequentazione, alla Sapienza della Parola di Dio e dei Padri della Chiesa.

Libertà, essenzialità, semplicità, capacità dialogica, prudenza erano in lui spiccate modalità morali, che trovavano la loro autenticità nella sola forza di quella Sapienza che viene dallo Spirito. La Sapienza per un cristiano è la scienza dei fini mentre la prudenza è la scienza dei mezzi, ma non c’è Sapienza senza il dono dell’agàpe, perché la cognizione del fine è chiusa e sigillata a chi invece di operare tenacemente per la libertà e l’essenzialità evangelica, si fa dominare da forme di cattolicesimo superficiale o di regie di massa, verso cui Emilio era impietoso per la sua innata avversione agli "imbalsamatori" della fede evangelica.

Oggi, dopo la sua morte, questi suoi abituali atteggiamenti evangelici, accompagnati tra l’altro da alcuni difficili momenti di sofferto silenzio, si rivelano ancor più come una scelta fondata sull’obbedienza della fede, da cui scaturisce quella Sapienza di chi sa amare veramente. Per questo forse disturbò e rimise in questione, anche in "casa propria", le saggezze umane garantite dall’uso e dal potere.

Personalmente sono sempre stato affascinato da questa Sapienza nel quotidiano di Emilio. In lui il discernimento dello spirito, non si muoveva in mezzo a certezze squadrate, ma era un atteggiamento profondo che faceva sintesi tra l’atto dell’amare e l’atto del giudicare. Secondo che si ama, si giudica. E tale discernimento sapienziale nel quotidiano non si insegna, si acquisisce attraverso la consuetudine dell’ascolto; qualità anche questa di cui Emilio era un testimone vivente: si pensi ai suoi sguardi, ai suoi occhi penetranti; ai suoi sorrisi ingenui o arguti, accondiscendenti o discordanti; alla sua parola sussurrata e mai gridata, a volte suadente e a volte tagliente; ai suoi eloquenti silenzi dinanzi a determinate situazioni ecclesiali, sociali, politiche! Sapeva davvero trasformare la Carità evangelica in una Sapienza di discernimento quotidiano, nel contesto di una puntuale sintesi fra la tradizione e l’innovazione. Emblematico a questo riguardo il testo scritto a Vernazza nella Pentecoste del 1996 dal titolo: Tradizione e tradizioni.

E’ mia opinione che tale discernimento sapienziale è un punto fondante nella significativa personalità di questo nostro indimenticabile "amico", perché in lui nasceva, tra l’altro, da quell’unico centro creativo della storia che è la libera coscienza dell’uomo e in forza della quale il discorso evangelico si differenzia da un ripetitivo discorso religioso. Di qui la sua grande capacità di essere un "escavatore di umanità" nel rapportarsi e nel comunicare con la diversità e la complessità. E in Emilio anche questo atteggiamento non aveva niente di metodologia spicciola e intimistica, ma era una modalità organica e strutturale della sua itinerante sequela al Maestro e, ben lungi nel cadere in rischiosi integralismi, faceva un tutt’uno dell’annuncio evangelico e della liberazione storica dell’uomo, anzi in lui erano la stessa "Parola".